QUADERNO 01 - La coscienza e la genesi
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Autore: Mirko Palomba - Ingegnere, Ph.D., F.R.C.
La coscienza e la Genesi
La parola coscienza ha subito numerose rivisitazioni e il suo significato originario si perde nel lessico dei vari periodi storici. Per questa parola, solo nel corso del ‘600 furono pubblicati 12 lessici filosofici latini [1]. Coscienza, dal latino conscientia, con-sciens [2], participio presente di con-scire (o cum-scire), essere consapevole. Conscientia potrebbe alludere alla conoscenza della propria interiorità [3], [4].
Facendo un passo indietro, è possibile arrivare a comprendere che l’elemento posto alla base della conoscenza è l’informazione. L’informazione è l’azione dell’informare, ossia di dare una forma interiore [5]. Per dare forma al creato, e quindi per creare informazione, vi è la necessità che vi sia il cambio di stato di un soggetto. Se il cielo fosse sempre sereno, non potrebbe esistere l’informazione elementare “il cielo è sereno”. Questa acquisisce un significato nel momento in cui il cielo, oltre ad essere sereno, può essere nuvoloso, o carico di pioggia o neve. Nel momento in cui esiste un cambio di stato esiste l’informazione, poiché la nostra mente è in grado di definire una condizione rispetto ad un’altra.
Gli strumenti attraverso i quali l’uomo (ma in generale tutti gli esseri viventi) è in grado di percepire una variazione di stato all’interno della Creazione sono gli organi recettori, siano essi quelli appartenenti al corpo fisico o a quello psichico o spirituale. Attraverso i nostri organi recettori siamo in grado di distinguere zone luminose da quelle buie, un colore da un altro, i vari sapori, ecc. Così come siamo in grado di riconoscere quando siamo innamorati, arrabbiati, quando abbiamo un’intuizione o quando ricreiamo in noi il vuoto mentale. Gli organi recettori sono il risultato di un lungo processo evolutivo, e più le forme di vita sono complesse più sono in grado di discriminare variazioni di stato di diverso genere o entità. Gli esseri viventi, durante il loro corso evolutivo, divengono dunque capaci di percepire un numero sempre maggiore di informazioni. La selezione della specie fa sì che sopravvivano quelle creature in grado di immagazzinare l’esperienza, dando luogo a facoltà superiori come la memoria, che trascende la funzionalità dei semplici organi recettori. Così si vennero a creare, e divennero sempre più complesse, le facoltà legate alla coscienza oggettiva, ma anche quelle legate alla coscienza soggettiva e subcosciente.
La Coscienza, dunque, può essere interpretata come quella facoltà superiore delle forme di vita, frutto dell’evoluzione, che memorizza ed elabora le informazioni (cum-scire) intese nel loro più nobile significato di azioni formatrici della mente. Ogniqualvolta la nostra mente sia in grado di dare una forma a una variazione di stato (caldo-freddo, luce-buio, rosso-verde, suono-silenzio) acquisisce una nuova abilità nel muoversi all’interno del mondo spazio-temporale ordinario; è ciò che comunemente viene definita esperienza.
Possiamo provare a ricostruire il processo di formazione della coscienza che hanno potuto sperimentare i nostri antenati, quando abbandonarono la condizione di animali comuni e poterono finalmente essere definiti uomini. A tale scopo, ci si servirà in questo contesto di un supporto particolare e forse imprevisto: la Bibbia [6], in particolare la Genesi. La Bibbia, tra i suoi livelli d’interpretazione, può essere vista come un viaggio della Coscienza umana, dalla sua formazione (nella Genesi, appunto) alla sua disgregazione (l’Apocalisse). Ciò che seguirà non vuole essere una descrizione dettagliata di tutti i livelli d’interpretazione della Bibbia, quanto piuttosto il pretesto per offrire spunti di riflessione sul tema proposto.
Il primissimo verso della Genesi recita: “In principio Dio creò il cielo e la terra”. La mente dei nostri antenati si formò arrivando a distinguere il cambio di stato del mezzo in cui potevano vivere. Si comprese che esistevano un mezzo solido, la terra, e un mezzo “vuoto”, il cielo. Nell’interezza del creato, fu posto un primo limite, una prima separazione, una prima forma di dualità. Tale concetto è velatamente contenuto nel simbolo del sale alchemico, rappresentante la dualità dell’essere umano come essere fisico (di terra) e non-fisico (di cielo), concetto che portò successivamente i filosofi a parlare di sostanza ed essenza. Il simbolo del sale alchemico è utilizzato, in particolare, per rappresentare la parte fisica del corpo umano, ossia ciò che resta dell’uomo quando le sue componenti spirituali abbandonano il corpo.
Proseguendo nella Genesi, si trova: “Il mondo era vuoto e deserto, le tenebre coprivano gli abissi, e un vento impetuoso soffiava su tutte le acque. Dio disse «Vi sia la luce!». E apparve la luce.” Qui la coscienza in formazione del futuro uomo arrivò a concettualizzare i quattro principi (terra, aria, acqua e fuoco/luce) che nascono dal regno indeterminato dell’Etere[1]. Dunque oltre ad aver compreso l’informazione elementare di terra-cielo, o pieno-vuoto, la coscienza dell’uomo si arricchì del concetto di aria e di acqua, indispensabili alla sua vita, così come si aggiunsero i concetti di calore e di luce.
“Dio vide che la luce era bella, e separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò la luce Giorno e le tenebre Notte.” La coscienza dell’uomo in formazione arrivò a definire la differenza tra il giorno e la notte, ma in questo versetto comincia a prendere forma un altro aspetto fondamentale per la strutturazione dell’essere umano che conosciamo oggi: l’assegnazione dei nomi (in riferimento a quel “Dio chiamò”). Attraverso l’assegnazione di un nome, si viene ad attuare una determinazione all’interno della creazione. Agiamo per qualche istante di immaginazione e supponiamo che niente abbia ancora un nome (che nessuna parola sia a conoscenza) e che non si fosse studiato niente nella propria vita. Guardandoci attorno, vedremmo una serie di diverse “entità”[2] alle quali non sapremmo assegnare alcuna caratteristica o qualità, poiché in noi non sarebbe presente il concetto di colore, di temperatura o densità. L’uomo, cominciando la sua opera di determinazione della realtà circostante, ossia arrivando a definire ciò che è giorno rispetto a ciò che è notte, o ciò che è caldo rispetto a ciò che è freddo, ecc., dà forma all’intera Creazione, e questo gli permette di muoversi all’interno del mondo e di sovrastare tutte quelle forme di vita che non sono in grado di effettuare questo processo. Assegnando un nome, si vengono a formare per la prima volta delle strutture energetiche nella coscienza umana, strutture che sono in grado di vivere nell’uomo e di propagarsi di generazione in generazione come entità astratte. Creati Giorno e Notte, si poté parlare del primo giorno della Creazione.
Nel secondo giorno della Genesi si trova: “Dio disse: «Vi sia una grande volta! Divida la massa dalle acque»”. Alla coscienza dell’uomo si aggiunse l’abilità di distinguere ciò che è denso da ciò che non lo è; e ancora: “Dio fece una grande volta e separò le acque di sotto dalle acque di sopra.” Dunque, l’uomo arrivò a raffinare la sua percezione di densità differenziando i fluidi terrestri da quelli celesti. Spingendoci a un livello più esoterico, l’ultima frase può essere interpretata attraverso l’adagio “ciò che è in alto è come ciò che è in basso”, mostrando significati molteplici per la medesima frase. D’altro canto, nella Bibbia possono essere distinti numerosi livelli d’interpretazione e, sebbene non sia questo l’ambito in cui si andranno a sviscerare, è interessante analizzarne almeno uno. All’interno di questa “grande volta” troviamo due tipi di acque: quelle di sotto e quelle di sopra. La grande volta può essere intesa come l’interezza dell’uomo, analogicamente all’interezza del Pianeta Terra o del Cosmo. Così come la Terra possiede acque più dense (fiumi, laghi, mari e oceani) e acque meno dense (i venti) allo stesso modo possiamo suddividere la presenza divina nell’uomo sia nel suo corpo fisico sia nei suoi corpi sottili. Sotto quest’ottica, le acque di sopra rappresentano il regno spirituale che scorre all’interno dell’uomo. “Dio chiamò la volta Cielo”. Quest’ultima frase, in virtù di quanto appena specificato, porta a susseguenti riflessioni. Nell’insegnamento Cristiano si fa spesso riferimento al “regno dei Cieli”. Al di là del cielo ordinario, cioè quello che si guarda puntando il naso all’insù, esiste la sua controparte spirituale all’interno di ciascuno di noi (uno dei motivi per cui “Cieli” è al plurale). Dunque il “regno dei Cieli” è quel luogo sacro che racchiude non solo il cielo fisico, che ci abbraccia tutti, ma anche l’interiorità di ciascun essere vivente. Il regno dei Cieli, dunque, più che “in alto” va ricercato nell’interiorità, sebbene il concetto di “alto” aiuti a effettivamente a elevare lo stato vibratorio della coscienza. Le acque di sotto e le acque di sopra possono inoltre far pensare rispettivamente al corpo psichico e al corpo spirituale umano (l’anima), che si differenziano dall’aspetto tangibile del corpo fisico (la Terra). Con la concettualizzazione del Cielo all’interno della coscienza umana termina il secondo giorno della Creazione.
“«Siano raccolte in un sol luogo le acque che sono sotto il cielo e appaia l’asciutto. E così avvenne. Dio chiamò l’asciutto Terra e le acque Mare.»” Possiamo vedere l’uomo che formò in sé la differenza tra la terraferma e le distese d’acqua, come i mari e i laghi, ma un ulteriore spunto di riflessione ci viene offerto dalla psicologia contemporanea, secondo la quale, in linea con gli insegnamenti antichi, il mare o i laghi sono associabili al subconscio [7]. Questo elemento potrebbe portare a ipotizzare che in questa fase della coscienza umana sia venuto a svilupparsi tale elemento della coscienza. Il subconscio è un elemento fondamentale per le forme di vita evolute, perché crea tutta una serie di automatismi fisiologici e psicologici che permettono a una specie di sopravvivere all’interno di una particolare condizione ambientale.
Il terzo giorno, “Dio disse: «La terra si copra di verde, produca piante con il proprio seme e ogni specie di albero da frutta con il proprio seme!»”, così si distinsero le piante e i frutti diretti della Terra, primo alimento originario dei nostri antenati. Possiamo immaginare lo stupore con cui l’uomo in formazione poteva osservare la natura, con la sua forza e la sua magnificenza; così ricca di cibo che periodicamente si presentava come un dono divino, saziando e soddisfacendo i piaceri degli esseri viventi che ne mangiavano. Così volge al termine il terzo giorno.
Il quarto giorno si viene a creare una nuova, fondamentale fase della coscienza: la percezione del tempo. “Dio disse: «Vi siano luci nella volta del cielo per distinguere il giorno dalla notte: saranno segni per le feste, i giorni e gli anni. Risplendano nel cielo per far luce sulla terra.» E così avvenne. Dio fece due grosse luci: la più grande per il giorno, la più piccola per la notte. E poi le stelle. Dalla volta del cielo, esse rischiarano la terra.” L’essere umano cominciò a notare la ciclicità degli eventi contenuta nei giorni, nei mesi, negli anni. Si aiutò a determinare lo scorrere del tempo attraverso la volta celeste, utilizzando il Sole, la Luna e le stelle. È noto infatti l’interesse verso il computo del tempo in molte civiltà antiche, fenomeno che assunse l’apice in determinati periodi storici, ma che altro non fu che il naturale proseguimento di quella mente che cominciò a formare in sé in concetto di tempo. Mentre fino a tal punto[3] si apprezzavano qualità prettamente spaziali della Creazione, da questo momento descritto nella Genesi, una nuova dimensione si aggiunse al patrimonio esperienziale dell’attuale versione umana.
Nel quinto giorno Dio creò gli animali delle acque e dei cieli: “«Le acque producano animali che guizzano, e sulla terra e nel cielo volino gli uccelli.» Dio creò i grandi mostri del mare e tutto quel che vive e guizza nelle acque. [...] «Siate fecondi, diventate numerosi e popolate le acque dei mari. E anche gli uccelli si riproducano sulla terra.»” Una volta che i principali bisogni personali vengono soddisfatti, si ha la possibilità di estendere il proprio essere concentrandosi su ciò che c’è al di là di se stessi. Così, con la maturazione dell’interiorità umana, altri elementi si aggiunsero progressivamente alla coscienza dell’uomo, riguardanti le forme di vita marine, terrestri e celesti. Considerando l’interpretazione dei Cieli e dei mari avanzata poc’anzi, quest’ultimo versetto può essere visto come la differenziazione della coscienza. Una forma di coscienza semplice è in grado di distinguere pochi elementi. Se in noi esistesse solo il tatto, potremmo discriminare quando tocchiamo o meno un oggetto, o tutt’al più se esso è caldo o freddo, ruvido o liscio. Queste sarebbero le nostre uniche informazioni del mondo, e dell’interezza dell’ambiente circostante saremmo in grado di differenziare, o distinguere, solo alcune delle caratteristiche del Creato. Poiché i nostri elementi sensori sono molteplici, la nostra mente può prendere forma attraverso differenti tipi di stimoli esterni. In questo modo, la coscienza umana è in grado di creare delle strutture energetiche dentro di sé, ognuna delle quali possiede delle caratteristiche ben specifiche a seconda del tipo e dell’entità dello stimolo considerato. È inoltre importante specificare che l’esempio fatto con il tatto, e quindi nel mondo prettamente fisico, può essere esteso al mondo interiore umano. Così l’uomo è in grado di creare nella sua coscienza strutture energetiche che riguardano il mondo fisico, quello psichico e quello spirituale, analogicamente agli animali della terra, dei mari e dei cieli. Dunque gli animali dei vari regni terrestri vanno a rappresentare le differenti caratteristiche dei regni dell’uomo. In una fase successiva, sempre contenuta nella Bibbia, si viene a creare la concezione, comune a molte culture, degli angeli e dei demòni. Anche in questo caso si sta parlando di una differenziazione della coscienza, nel senso che nel complesso delle possibilità che la coscienza può esperire si vanno a definire strutture energetiche dotate di determinate caratteristiche. Così possiamo sentir parlare dei 72 angeli di Dio, che altro non sono che una settorializzazione della totalità delle possibilità di Dio stesso. Così come un cerchio può essere suddiviso in 360°, le più elevate facoltà del divino possono essere schematizzate in 72 macro-aree (o quante vogliamo, a seconda del criterio adottato), a ciascuna delle quali è associato un insieme di caratteristiche predominanti. Nella sapienza della mistica ebraica, 72 (la metà di 144 che è 12x12) sono proprio i nomi di Dio ; tali nomi vanno a costituire lo Shemhamphorasch (שם המפורש) e a ciascun nome (shem שם è proprio nome) è attribuita una qualità specifica divina. L’uomo che invoca un particolare angelo, ricrea in sé le caratteristiche a esso associate e, almeno in quel momento, le esprime nel piano oggettivo.
Dunque assieme alla comprensione degli animali della terra, dei mari e dei cieli apprezzabili nel regno fisico, si vanno a ricreare nell’uomo le loro controparti psichiche e spirituali, arricchendo progressivamente l’esperienza umana. Questo aspetto della Creazione è fondamentale per comprendere caratteristiche importanti della natura profonda umana e dei meccanismi che rendono validi sistemi iniziatici come l’Antico e Mistico Ordine della Rosa-Croce. L’Ordine, infatti, conosce bene le leggi interiori dell’uomo, e le pone al servizio dei membri al fine di aiutarli nella comprensione dell’Essere, di “ciò che è”. Quando Dio si manifesterà a Mosè dirà: Ehyeh-Asher-Ehyeh (אֶהְיֶה אֲשֶׁר אֶהְיֶה) ossia «Io sono ciò che è.» Il misticismo rosacrociano, in sostanza, si prefigge lo scopo di porre in contatto l’uomo con la divinità permettendogli di vivere in prima persona le molteplici esperienze descritte non solo nella Bibbia ma in tutti i testi sacri.
Nel sesto giorno è scritto: “Dio disse: «Produca varie specie di animali: domestici, selvatici e quelli che strisciano.»” Il processo di differenziazione all’interno della coscienza umana si è raffinato durante questo sesto giorno della Creazione. Presi gli animali che vivono in uno stesso ambiente, quello terrestre in questo caso, l’uomo ne ha dettagliato le caratteristiche. Ha capito in questo modo che ci sono animali amici che possono essere addomesticati, altri che non possono essere addomesticati, ma che non sono dannosi e altri che sono pericolosi. Allo stesso modo, all’interno della coscienza umana esistono strutture dell’Io che ci inducono benessere, altre che ci mettono paura, e altre che ci fanno del male. Se pensiamo, ad esempio, a un bambino che sorride, in noi albergano sentimenti benefici che ci inducono uno stato interiore positivo; se pensiamo invece che stiamo per fare tardi a un appuntamento importante, ci prepariamo più in fretta per arrivare in orario; se ci concentriamo sulla negatività di un evento che non può essere risolto, ci stiamo facendo del male inutile. In questa fase, si vengono a consolidare gli istinti, fenomeni legati a un elevato sviluppo delle facoltà subconscie della coscienza. L’essere in divenire descritto nella Bibbia ha dunque raggiunto un livello di sviluppo considerevole.
A questo stadio, la coscienza umana si è raffinata al punto tale da arrivare all’ultima opera: la creazione dell’uomo. “Dio disse: «Facciamo l’uomo: sia simile a noi, sia la nostra immagine. Dominerà sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, sugli animali selvatici e su quelli che strisciano al suolo.» Dio creò l’uomo simile a sé, lo creò a immagine di Dio, maschio e femmina li creò.” Questo è un aspetto cruciale della Creazione. L’uomo primordiale, il così detto Adam Qadmon, ha trovato finalmente manifestazione. L’essere umano prende coscienza dei suoi simili. La coscienza dell’uomo, che altro non è che una individualizzazione della Coscienza Divina, elaborò il concetto di “simile a sé”, cioè simile a Dio stesso come essere al contempo materiale e invisibile, corporeo e spirituale. Attraverso l’uomo, dunque, Dio poté finalmente osservarsi e riconoscersi. L’uomo venne creato maschio e femmina, al contempo. Non bisogna confodere “maschio” e “femmina” con il sesso biologico, rappresentando in questo contesto caratteristiche Tradizionali. Ragione e sentimento, nelle differenti proporzioni, appartengono sia agli uomini sia alle donne. Bisogna considerare l’Adam Qadmon come un essere androgino, avente in sé le componenti maschili e femminili, in quanto la separazione di questi aspetti in due esseri biologicamente distinti avviene in una fase successiva della Creazione secondo la Genesi. Un interessante spunto di riflessione può provenire dalle origini ebraiche del nome אדם adam, che significa “uomo primordiale”, o “uomo delle origini”. Dove per “uomo” si intende ciò che in italiano è “uomo” in senso lato (l’homo in latino), racchiudendo in sé sia gli uomini (vir in latino) sia le donne. Per indicare gli uomini intesi come esseri biologicamente maschili, in ebraico si utilizza la parola איש aish, mentre per donna la parola אִשָׁה aisha. In italiano risulterebbe vagamente qualcosa come uomo e uoma, e questi sono i due esseri biologicamente distinti che si vengono a creare a partire dell’essere androgino. L’Adam Qadmon rappresenta dunque l’intero genere umano nella sua interezza, senza distinzione alcuna tra le varie etnie o nel sesso biologico, e che si distingue nettamente dalle restanti forme animali. Dal punto di vista esoterico, l’Adam Qadmon è colui che può dominare gli aspetti inferiori umani ereditati dalla sua natura animale, rappresenta dunque tutte le facoltà migliori che caratterizzano l’umanità, quelle particolari caratteristiche che, quando manifestate, fanno esclamare riguardo a qualcuno: «com’è umano!».
Si arrivò dunque progressivamente a determinare la distinzione dei sessi sul piano fisico e la distinzione tra le facoltà elevate della razionalità (maschio) e dei sentimenti (femmina) sui piani più sottili. I centri energetici contenuti nella testa e nel cuore si andarono dunque a sviluppare fino a divenire degni di ospitare gli attributi del Dio della nostra comprensione (testa, razionalità) e del nostro cuore (petto, sentimento)[4]. Attraverso queste due facoltà, che vanno a determinare delle vere e proprie polarità, è possibile far scorrere il flusso dell’evoluzione. Nel testo, viene detto che è nostra facoltà dominare su tutte le creature descritte nella Bibbia, ossia sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, sugli animali selvatici e su quelli che strisciano al suolo. Oltre all’aspetto fisico che effettivamente ci permette di dominare queste specie animali nel piano oggettivo - e che non ci dà il diritto di ucciderle, ma il dovere di assisterne la vita in quanto esseri senzienti - c’è da aggiungere l’aspetto sottile. Come si è discusso in precedenza, tutti quegli animali vanno a rappresentare particolari strutture, forme all’interno della coscienza umana. Ciò che viene detto nella Bibbia quando si dice che l’uomo dominerà su di esse, significa, in base a quanto detto sopra, che l’uomo è in grado di dominare le proprie passioni, i propri istinti, le proprie paure, i sentimenti, financo quelli che vengono chiamati angeli e demòni. È nostra facoltà, quindi, vivere esprimendo le piene potenzialità e virtù Divine, e la realizzazione di questo compito è proprio la nostra missione umana. Dopo la caduta dall’Eden, il ritorno all’Adam Qadmon rappresenta l’apoteosi del processo di risalità della coscienza rinnovata.
Settimo giorno: “Così Dio completò il cielo e la terra e ciò che vi si trova: tutto era in ordine”. Attraverso le facoltà progressive sviluppate dall’uomo, partendo, come si è visto, dalla comprensione del cielo e della terra, e passando per tutto ciò che vi è in mezzo, si arriva ad apprezzare la Legge, l’Ordine, il Cosmico. Quell’insieme armonioso di regole universali che permettono al Creato di autosostenersi e di assumere esattamente le caratteristiche che possiamo osservare attraverso le nostre facoltà della coscienza.
“Il settimo giorno, terminata la sua opera, Dio si riposò. Il settimo giorno aveva finito il suo lavoro. Dio benedisse il settimo giorno e disse: «È mio!» Quel giorno si riposò dal suo lavoro: tutto era creato.” Tutto era creato. L’essere umano aveva davanti a sé l’intera possibilità offerta da questo piano dimensionale. La sua coscienza acquisì ora la capacità di ammirare la meraviglia della Creazione. In lui non albergavano i concetti di fatica, di lavoro, di preoccupazione, di riproduzione, di autosostentamento. Questa era la condizione Adamitica Primordiale, una condizione tanto perfetta quanto ignara del suo stesso stato di privilegio, poiché priva ancora dell’auto-coscienza. Con questo ha termine il settimo giorno. Il settimo giorno, secondo i Qabbalisti ebraici è la שבת Shabbat, dove si rimarca il genere femminile della parola, che va ad accogliere la componente maschile di Dio stesso rappresentata dal popolo di Israele, lo sposo, in quello che è un matrimonio sacro tra gli aspetti femminile e maschile di Dio. La Shabbat va a segnare la demarcazione tra ciò che è profano nella Creazione (i primi sei giorni) e ciò che è sacro (la contemplazione del Creato nel settimo giorno). Questo compito, nel cristianesimo, verrà associato alla domenica, l’ottavo giorno della Creazione, in cui il numero 8 viene associato proprio al Cristo.
Nei paragrafi successivi della Bibbia è come se si tornasse indietro per specificare meglio, o su un altro piano, come avvenne la creazione dell’uomo. Si specifica meglio la costituzione fisica e spirituale di questo essere: “Quando Dio, il Signore, fece il cielo e la terra, sulla terra non c’era ancora nemmeno un cespuglio e nei campi non germogliava l’erba. Dio, il Signore, non aveva ancora mandato la pioggia e non c’era l’uomo per lavorare la terra. Vi era solamente vapore che saliva dal suolo e ne inumidiva tutta la superficie.” Si è tornati a una situazione precedente, come se si fosse ripartiti da una condizione iniziale della Creazione. Nel testo si fa riferimento a una terra priva d’ogni forma, sebbene le contenga tutte potenzialmente in sé. Questa terra indeterminata possiamo associarla all’Etere ed è rappresentata in ebraico dalla parola אֲדָמָה adamah, nella cui radice è contenuto l’adam. È proprio dall’Etere che Dio ha organizzato la terra, l’acqua e tutto ciò che serve alla creazione della vita. Possiamo immaginarlo come una grande spiaggia composta da tanti piccoli granelli di sabbia bianchi e neri. Osservando la spiaggia nel suo complesso, si vedrebbe una sabbia di colore perfettamente grigio. Se da questa sabbia qualcuno o qualcosa selezionasse solo alcuni granelli bianchi, e li mettesse tutti insieme in un certo punto, a formare un cerchio, avrebbe creato una prima differenziazione, perché dal grigio indifferenziato esisterebbe una regione a cui mentalmente possiamo attribuire la forma circolare e il colore bianco. Non è il caso ad aver organizzato i granelli bianchi per dargli quella forma; allo stesso modo, tutto ciò che esiste, è frutto di quell’Intelligenza Creatrice cui si dà il nome di Dio.
A partire dall’Etere, o da questa spiaggia grigia, vediamo come prosegue il testo: “Allora Dio, il Signore, prese dal suolo un po’ di terra e, con quella, plasmò l’uomo. Gli soffiò nelle narici un alito vitale e l’uomo diventò una creatura vivente.” Questo è un momento topico della Creazione, denso di significato esoterico e che viene dettagliatamente affrontato durante i vari gradi dell’AMORC. Ci si limiterà dunque, in questo contesto, a far notare come dall’Etere, o materia indeterminata, si sia creata dapprima la terra, ossia la materia, e come da questa sia stato possibile organizzare il corpo umano. D’altra parte, l’uomo è composto da atomi, e questi atomi provengono dalla materia intergalattica. Attraverso l’influsso di quell’Intelligenza Creatrice di cui si è parlato poc’anzi, la materia è stata organizzata fino al punto d’assumere la forma del corpo umano. Terminato l’involucro, la macchina biologica che chiamiamo corpo, Dio anima e rende cosciente gli esseri umani insufflando nelle sue narici ciò che chiamiamo comunemente anima. Questo è il processo che porta alla creazione di ogni essere umano, composto di un corpo e di un’essenza vitale che lo anima con emozioni, pensieri e stati di coscienza, che vanno a costituire la sua controparte spirituale.
“Poi Dio, il Signore, piantò un giardino a oriente, nella regione di Eden e vi mise l’uomo che egli aveva plasmato. Fece spuntare dal suolo alberi di ogni specie: erano belli a vedersi e i loro frutti squisiti. Nel mezzo del giardino piantò due alberi: uno per dare la vita e l’altro per infondere la conoscenza del bene e del male.” La parola Eden è simile in ebraico alla parola gioia. Queste similitudini non sono da sottovalutare perché la traduzione dei testi antichi spesso non dà certezze sui reali significati che originariamente erano attribuiti alle parole in esame. Tali similitudini sovente restituiscono gli stessi valori numerici secondo la scienza mistica ebraica della ghematria[5]. Questo giardino, sia esso riferito alla gioia o no, era comunque un luogo dove l’uomo aveva tutto ciò di cui potesse avere bisogno. L’interezza delle possibilità di quel luogo vengono rappresentate attraverso il simbolo dell’albero. L’albero è quella pianta che affonda le radici in una regione del terreno invisibile agli occhi, traendone nutrimento e trasformandolo in alimento per l’uomo; alimento che una volta assimilato diviene l’uomo stesso. Analogicamente, l’albero assume il ruolo di ponte tra il regno Eterico (invisibile) e quello fisico (l’uomo). “Dio ordinò: «Puoi mangiare il frutto di qualsiasi albero del giardino, ma non quello dell’albero che infonde la conoscenza di tutto. Se ne mangerai, sarai destinato a morire!»” L’uomo poteva mangiare dei frutti di tutti gli alberi, tranne di quello della conoscenza del bene e del male. Come discusso nel settimo giorno, l’Adamo Primordiale viveva in una condizione ideale e virtualmente perfetta, ma non lo sapeva, perché non aveva mangiato il frutto dell’albero della conoscenza di tutto. Colui che non sa cosa sia la vita e cosa sia la morte, non può morire, poiché in lui tale concetto è inesistente. La coscienza dell’Adamo Primordiale si trovava in una condizione di non-luogo e non-tempo, uno stato di eterno presente in cui poteva mirare il Creato, forse troppo inconsapevolmente anche per lo stesso Dio[6]. L’unico tempo che esisteva era quello che permetteva agli oggetti di muoversi nello spazio, ma è un tempo diverso da ciò che comunemente si è soliti pensare e che rientra nel concetto di tempo sacro.
L’Adamo Primordiale, come descritto già durante il sesto giorno della Creazione, conteneva in coscienza l’aspetto maschile e quello femminile, razionalità e sentimento, attività e passività, intuito ed istinto, ecc. Eppure, tutto ciò porterebbe a una condizione di equilibrio che negherebbe la dinamicità della vita. Se si uniscono il polo positivo e quello negativo di una pila, scorre una corrente finché la differenza di potenziale dei due poli è mantenuta, ma se tale differenza viene meno, la corrente cessa di scorrere. Dunque l’Adamo Primordiale, nella sua condizione di bilanciamento delle forze, non poteva essere soggetto allo scorrere della corrente dell’Evoluzione. Affinché l’evoluzione potesse trovare manifestazione anche per l’uomo (così come per il resto del Cosmo) fu necessario creare due generi, obbedenti alle caratteristiche delle due polarità. Così dall’Adamo Primordiale nacquero l’uomo e la donna: “Allora Dio, fece scendere un sonno profondo sull’uomo, che si addormentò; poi gli tolse una costola[7] e richiuse la carne al suo posto. Con quella costola Dio, il Signore, formò la donna e la condusse all’uomo. Allora egli esclamò: «Questa sì! È osso delle mie ossa, carne della mia carne. Si chiamerà Donna, perché è stata tratta dall’uomo.»” Così fu la donna. Nella mitologia, questo tipo particolare di generazione si ripresenta. Ricordiamo, ad esempio, la generazione di Atena a partire da Giove. Atena nacque già adulta a partire dalla testa del padre. Se associamo a Giove il ruolo simbolico dell’Intelligenza umana, Atena è quell’aspetto a cui può portare l’Intelligenza: la Sapienza. Così come la Sapienza deriva dall’Intelligenza, Atena nasce dalla testa di Giove. Analogamente, la donna, nella Genesi, nasce dalla costola dell’Adamo Primordiale. È interessante che la costola è ciò che protegge il cuore, legato al mondo dei sentimenti. La donna, così, va ad esteriorizzare l’aspetto femminile-passivo già contenuto all’interno dell’Adam Qadmon. Uomo e donna, comunemente e fisicamente intesi, rappresentano la controparte fisica di quel principio maschile e femminile contenuti nell’Adamo Primordiale. Viene scritto “Si chiamerà Donna, perché è stata tratta dall’uomo” perché in ebraico queste parole sono molto simili, come descritto sopra per aish e aisha. In tutto questo, però, tali esseri ancora non hanno mangiato dell’albero della conoscenza, pertanto sono privi della consapevolezza sulla loro natura. Proprio per questo motivo, viene scritto in seguito: “L’uomo e la sua donna, tutti e due, erano nudi, ma non ne avevano vergogna.” In loro non poteva esistere il concetto di pudore, di vergogna, di peccato, poiché non possedevano la conoscenza di ciò che era bene e ciò che era male.
Dio, nella sua perfezione, creò l’albero del bene e del male, suggerendoci implicitamente che sotto qualche forma esiste un bene ed esiste un male. Se riprendiamo l’esempio del cerchio fatto con i granelli bianchi di sabbia, dobbiamo pensare che laddove sono stati sottratti i granelli bianchi c’è una predominanza di quelli neri. Se tale predominanza viene meno, la differenza non si nota, ma se i granelli bianchi vengono selezionati esattamente in modo circolare, andremo a creare un cerchio bianco da una parte e un cerchio nero dall’altra[8]. Se Dio concentrò il bene in qualche luogo, questo venne a mancare altrove, dando luogo a ciò che viene chiamato male. Il male, in ultima istanza, altri non è che mancanza di bene. Come estensione di questo ragionamento, possiamo osservare che tra gli animali che Dio pose sulla terra, ossia tra le forme energetiche che Egli impresse nel Cosmo, si venne a trovare il serpente[9]; animale astuto, pericoloso, ma associato anche alla saggezza. I rettili rappresentano l’aspetto mercuriale associato al corpo psichico umano. All’interno di quella perfezione che non poteva essere compresa fino in fondo, risalì dalla terra quell’energia che mosse l’uomo e la donna a disobbedire al fine di sperimentare qualcosa di diverso da ciò che erano soliti provare.
Il serpente puntò sulla donna, l’aspetto sentimentale e passivo umano, perché se si fosse rivolto direttamente all’uomo, ossia all’aspetto razionale, questi non avrebbe disobbedito. È attraverso l’aspetto sentimentale e irrazionale che si può far breccia in quello razionale. Attraverso il cuore, si sovrasta la logica. Ecco perché il serpente, rivolto alla donna, dice: “Così Dio vi ha detto di non mangiare nessun frutto degli alberi del giardino!”, e la donna risponde: “No, noi possiamo mangiare i frutti degli alberi del giardino! Soltanto dell’albero che è in mezzo al giardino Dio ha detto: «non mangiatene il frutto, anzi non toccatelo, altrimenti morirete!»” Qui il serpente impianta nella donna l’elemento necessario all’acquisizione di sapere: il dubbio. “Non è vero che morirete – disse il serpente – anzi, Dio sa bene che se ne mangerete i vostri occhi si apriranno, diventerete come lui: avrete la conoscenza di tutto.” Nella coscienza umana nacque dunque il dubbio, elemento tanto più potente quanto più va ad intaccare l’aspetto sentimentale umano. “Allora [la donna] prese un frutto e ne mangiò. Lo diede anche a suo marito e ne mangiò. I loro occhi si aprirono e si resero conto di essere nudi. Perciò intrecciarono foglie di fico intorno ai fianchi.” La risposta di Dio è: “[...] Ora, per colpa tua, la terra sarà maledetta: con fatica ne ricaverai il cibo tutti i giorni della tua vita. [...] Ti procurerai il pane con il sudore del tuo volto, finché tornerai alla terra dalla quale sei stato tratto: perché tu sei polvere e polvere tornerai.”
La donna mangiò il frutto dell’albero della conoscenza e lo fece mangiare anche a suo marito perché, non si dimentichi, sono i due aspetti di una cosa sola. Questo frutto fece loro prendere coscienza della propria condizione. Questo è lo stadio finale della creazione dell’uomo, grazie al quale egli diventa esattamente come il lettore che sta leggendo queste righe. L’essere umano divenne finalmente cosciente di sé. Ciò gli fece comprendere che esisteva qualcosa di buono e qualcosa di non buono. Il dubbio era ormai parte di lui stesso. Nacquero in quel frangente la preoccupazione per l’avvenire, il bisogno di procacciarsi il cibo per sopraffare la morte, nacque la paura per la morte, per la punizione. L’uomo capì che doveva faticare per vivere, e la donna doveva soffrire per partorire. Tutto questo, fino ad allora, era comunque vero, ma non si sapeva. Tale è la caduta dall’Eden, la presa di coscienza della fatica e del dolore che occorrono per ottenere qualcosa sul piano oggettivo dell’esistenza.
Quante volte guardiamo i cani o i gatti e pensiamo a quanto possano essere fortunati a non avere problemi. Ecco, quella è la condizione primordiale. Sebbene cani e gatti, o gli altri animali in genere, sembrino non avere problemi grazie a un istinto che suggerisce loro esattamente cosa fare, è pur vero che si pensano non avere una forma di auto‑coscienza adeguata a comprendere la loro fortuna. Per quanto riguarda l’uomo e la donna, in un certo momento dell’evoluzione, compresero il loro stato in un lampo. Nacque il concetto di pudore, e che essere nudi era sbagliato, così si vestirono con foglie di fico. Da quel momento in poi, lo scopo dell’essere umano è quello di ritornare allo stato originario, non più in modo inconsapevole, ma pienamente cosciente di sé. Questo è lo scopo dell’alchimia, dell’ermetismo, della magia, dell’esoterismo, e tale è lo scopo dell’Ordine della Rosa-Croce. Nel resto della Bibbia è descritto il lungo processo dell’uomo dotato di coscienza di sé per ritornare allo stato divino, quello stesso percorso che si affronta durante il cammino iniziatico di una scuola Tradizionale.
Un’ultima osservazione può offrire un ulteriore spunto di riflessione. Se si considera il processo evolutivo dell’Anima Universale, ci sarà sempre una scintilla animica che sperimenterà il passaggio dalla forma di coscienza animale a quella umana. Pertanto, la Genesi non parla di un fenomeno avvenuto un tempo lontano in un particolare luogo, ma si riferisce a un principio eterno che può manifestarsi in ogni luogo del Cosmo, sempre, anche in questo momento, e che sostiene il Creato in ogni istante, affinché ciò che esiste non si disgreghi nel nulla.
Questo lavoro termina con un pensiero di Albert Einstein in sintonia con quanto si è trattato:
«L'essere umano fa parte di un tutto, da noi chiamato ‘Universo’, una parte limitata nel tempo e nello spazio che sperimenta se stesso, i propri pensieri e le proprie sensazioni come separati dal resto: una specie di illusione ottica della sua stessa coscienza. Quest'illusione è per noi una sorta di prigione, che ci limita ai nostri desideri personali ed all'affetto per le poche persone a noi più vicine. Il nostro compito dev'essere di liberarci da questa prigione, allargando il cerchio della compassione per abbracciare tutte le creature viventi e la totalità della natura e della sua bellezza.»
Riferimenti
[1] Cfr. E. Canone, M. Palumbo, “Latin Philosophical Dictionaries in the Early Modern Era”, in G. Tonelli, “A short‑title list of Subject Dictionaries cit.”, pp. XVIII-XIX, 2006
[2] “Treccani.it”, l’Enciclopedia italiana
[3] Roberto Palaia, “Coscienza – nella filosofia della prima modernità”, Leo S. Olschki editore, 2013
[4] Cfr. C. P. Richter, “Lexicon ethicum”, Norinbergæ, 1627, in Roberto Palaia, “Coscienza – nella filosofia della prima modernità”, Leo S. Olschki editore, 2013
[5] N. Zingarelli, “Vocabolario della lingua italiana”, Zanichelli, 1971
[6] Alleanza Biblica Universale, “La Bibbia”, Editrice LDC, 12° ristampa, 1999
[7] Jeffray Raf, “Jung e l’immaginario alchemico”, Edizioni mediterranee, 2000
2 Creazione di Adamo (Michelangelo)
3 Peccato originale e cacciata dal Paradiso terrestre (Michelangelo)
4 L'androgino ermetico
[1] Concetto contenuto nella sapienza antica e ripreso dai filosofi dell’antica Grecia. Si intende la quientessenza da cui provengono i quattro princìpi di terra, acqua, aria e fuoco.
[2] Nome preso in prestito dalla teoria degli enti di Platone.
[3] Nella cosmogonia biblica si traccia il percorso di una evoluzione temporale che non va intesa ordinariamente. Al di là dell’aspetto simbolico dei numeri dei giorni della Creazione, l’evoluzione della coscienza umana può aver richiesto un lasso temporale molto esteso. Anche l’ordine con cui tali prese di coscienza si sono manifestate può essere stato diverso dal punto di vista storico ma non è questo l’ambito di sviluppo del testo biblico, il quale si pone su un differente piano di espressione. L’apparente progressione temporale contenuta nel testo biblico, dunque, non va presa in modo letterale ma in modo letterario (come l’intero testo sacro), che trae la sua sorgente dalle rivelazioni sapienziali elaborate dal subconscio di quegli autori che sanno come armonizzarvisi.
[4] Molte invocazioni dell’AMORC cominciano proprio con l’espressione: “Dio del nostro cuore, Dio della nostra comprensione […]”
[5] Secondo la ghematria ogni lettera è associata a un numero. Così facendo, ogni parola, costituita da più lettere, può essere associata a un numero complessivo dato dalla somma numerica delle singole lettere che la costituiscono. Ogni parola, dunque, è associata alle potenze insite nei numeri, intesi come enti platonici dotati di particolari qualità. Secondo la Qabbalah ebraica, le parole che si riducono nello stesso valore numerico devono essere meditate perché contengono legami particolari.
[6] Il serpente che ha determinato la caduta dall’Eden può essere visto, da questa prospettiva, come un emissario di Dio per portare a compimento la presa di coscienza della Creazione. A nulla servirebbe un mondo perfetto se non vi fosse nessuno in grado di apprezzarlo pienamente. Allo stesso modo, la figura di Giuda nel Nuovo Testamento è essenziale affinché il Christos (Χριστός in greco) possa manifestarsi.
[7] Il discorso della costola è probabilmente un errore di traduzione dall’ebraico. La parola צֶלַע tzela significa costola ma anche fianco e, più verosimilmente, metà. Sotto tale accezione, la donna (Eva) fu creata dalla metà dell’Adam (l’umanità), e ciò che rimase dall’altra metà fu l’uomo (Adamo). Uomo e donna, dunque, sono due metà complementari di uno stesso, unico essere. Sotto quest’ottica, non vi è alcuna superiorità dell’uno sull’altra, o viceversa, poiché l’uno non può esistere senza l’altra. L’interpretazione della costola porta con sé le riflessioni riportate nel seguito del testo.
[8] Nella mistica ebraica, è ciò che porta alla definizione delle Sephirot, le sante qualità divine, e delle Qliphot, l’opposto della santità.
[9] È interessante notare che secondo l’arte mistica ebraica della ghematrica la parola נָחָשׁ nahash, serpente, è associata alla stessa potenza numerica della parola מָשִׁיחַ mashiach, messia, 358=7. Il logos di colui che cade è il medesimo di colui che risale, allo stesso modo di come si possa pensare che la stella che si vede la sera sia diversa da quella che si vede al mattino, quando in realtà si tratta del medesimo pianeta Venere che diffonde la sua luce sia la sera sia al mattino.